"Io mi ubriaco di cibo, ci sono persone che fumano o si drogano o si ubriacano. Io invece mi attacco al cibo per consolarmi". Ricordo che era un tranquillo pomeriggio in studio quando questa frase scosse la mia coscienza e sfidò le mie capacità professionali. Oltre che colpirmi profondamente il contenuto, mi colpì il coraggio di chi la proferì, la forza di parlarne superando la vergogna. Uno dei momenti più significativi della mia carriera.
Questa è stata la prima volta che, iniziando ad approfondire la questione della motivazione al cambiamento delle abitudini alimentari, mi sono sentita dire una frase così forte e densa di significati. Significativa perché si scopriva il motivo per cui la persona non dimagriva; perché la persona raccontava le sue responsabilità; perché, abbandonando tutte le scuse addotte fino a quel momento, mi si dava per la prima volta la possibilità di intervenire sul problema reale.
Devo molto a questa persona per avermi fatto capire che se ci si abbuffa non è perché si è mangioni o ghiotti o privi del senso della regola ma perché dall'abbuffata traiamo un vantaggio in quel momento che può essere il consolarci, il colmare delle mancanze, lo sfogare l'inquietudine, l'ansia.
Può essere per una miriade di motivi ma il meccanismo è comune a quello delle altre dipendenze. Me l'ha fatto notare questa persona per prima e altri dopo di lei: c'è chi ha un problema col cibo, chi con le sigarette, chi con le sostanze stupefacenti, chi con il gioco d'azzardo. A mio avviso, la dipendenza dal cibo non è migliore o peggiore di quella dalla droga. Le ragioni che sottostanno sono le stesse, è l'oggetto della dipendenza che è diverso.
Per non essere fraintesa, però, spiego cosa intendo con il termine abbuffata. L'abbuffata non è la cena con gli amici in cui si mangia più del solito e magari si beve anche né lo sgarro per aver mangiato due biscotti in più rispetto a quanto consentito dalla dieta.
Per abbuffata il mondo scientifico intende il consumare grandi quantità di cibo in un breve intervallo di tempo (generalmente mezz'ora) con un senso di perdita di controllo sull'atto del mangiare. E' impossibile interrompere l'abbuffata in corso, se non quando il nostro stomaco non ne vuole proprio più sapere di accogliere cibo.
Non ci interessa in questa sede approfondire se si tratti di un Disturbo del Comportamento Alimentare e di quale tipo. Quello dei DCA è un panorama così vasto da richiedere una diagnosi sulla persona. La diagnosi non deve essere vissuta come un'etichetta ma come il primo passo per una terapia corretta che miri alla soluzione del problema. Voglio invece dire che l'abbuffata è un comportamento disfunzionale, dannoso per il benessere sia fisico sia psichico, e che pertanto va guarita. "Sì, è vero che ho questo problema... Ma in fin dei conti tanti dolci fanno meno male di tante sigarette...". Minimizzare il problema ritarda il trattamento.
Qualcuno dei miei pazienti che è stato in trattamento psicoterapeutico per questa ragione mi ha detto che si è sentito dire dallo psicoterapeuta: "In questi casi devi avere più autocontrollo". E' un buon consiglio ma la persona va aiutata nel costruirlo. Sì perché l'autocontrollo, laddove manchi, si può costruire nel tempo. Il primo passo da fare è avere la forza di chiedere aiuto.
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