Le persone che ricevo in studio si trovano in un problema di peso e/o di salute e credono, o almeno sperano, che io possa aiutarle a risolverlo.
La fiducia che ripongono in me è tanta: di solito hanno sentito parlare di me da parenti o amici e, conoscendo il mio metodo, hanno già sviluppato un buon livello di fiducia, presupposto necessario per iniziare un percorso insieme.
Capita non di rado che alcuni di essi mi dicano al primo incontro o ai controlli: "Ti prego, aiutami." Sono quelli con le più forti problematicità, che si trovano in un momento di particolare difficoltà.
Cosa prova un professionista della salute nel momento in cui si sente dire "Per favore, mi aiuti!"? E' difficile rimanere impassibile di fronte ad una simile richiesta di aiuto. Ho ascoltato l'intervista ad un collega che, a chi gli chiedeva cosa provasse quando si sentiva dire così, rispondeva di esserne lusingato perché interpreta quelle parole come un segno della propria bravura e della fiducia che il paziente ripone in lui.
Io, invece, non posso fare a meno di sentirmi sulle spalle il peso della responsabilità: sarò all'altezza di ciò che il paziente si aspetta? Saprò gestire la comunicazione in modo funzionale ai bisogni del paziente? Citando una delle persone che mi hanno insegnato di più nella professione, Maria Luisa Pasquarella, "La relazione d'aiuto è metaforicamente un amplesso a scopo procreativo". Sono d'accordo: mi è impossibile aiutare una persona senza che si verifichi uno scambio di vissuti e di emozioni ("amplesso") per aiutare il paziente a raggiungere il benessere ("a scopo procreativo").
Un rapporto di tipo empatico permette al professionista di comprendere i pensieri e le emozioni del paziente, incorporandoli nella costruzione della relazione d'aiuto ma senza esserne sopraffatto. Esercitare l'empatia permette di avere migliori risultati terapeutici e un grado maggiore di soddisfazione del paziente. Per saperne di più: Perché scegliere un Dietista motivante.
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